Black list UE – Mancano gli USA
Tranquillizziamo subito i nostri lettori. Non è un titolo ad effetto per catturare l’attenzione del lettore, ma è la realtà.
Abbiamo pubblicato qualche giorno fa l’articolo UAE ritornano nella Black List della UE nel quale abbiamo parlato della decisione dell’ ECOFIN ( Consiglio di Economia e Finanza della UE ) di rintrodurre gli Emirati Arabi Uniti nella black list della UE ad un anno dall’evento planetario di “Expo 2020” di Dubai. Decisione a nostro avviso sconsiderata, tanto che sia l’italia che l’Estonia avevano chiesto una proroga fino a fine anno, in virtù dell’enorme sforzo economico ed organizzativo che il Governo degli Emirati sta attuando, come abbiamo detto nell’articolo EAU – Gli stimoli fiscali ed Expo 2020 accelerano la crescita
Ma da questo elenco a nostro avviso, c’è un grande assente si tratta degli Stati Uniti d’America.
Potrebbe sembrare una provocazione parlare degli USA come di un qualsiasi paradiso fiscale e ancora di più può chiederne l’inserimento nella “lista nera”.
Ma gli USA sono da diversi anni il Paese privilegiato per chi vuole sottrarsi alle maglie del fisco. Ne abbiamo parlato nell’articolo Fiscalità di vantaggio – Delaware ( USA ) , di come le maggiori compagnie al mondo, da Coca Cola ad Amazon, abbiano lì la loro sede legale. In un altro articolo Limited Liability Company in Delaware , abbiamo analizzato la tipologia delle società americane, che al momento in particolari Stati, appunto tipo il Delawere, il Wyoming, il Nevada, la Florida, ecc.. , sono pronti ad accoglierti e a concederti quella invisibile protezione che impedirà ai ai tuoi dati di finire nelle grinfie del Fisco del tuo paese di residenza.
Lo scorso anno l’organizzazione non governativa Tax Justice Network aveva collocato gli Stati Uniti al secondo posto dopo la Svizzera nell’elenco delle Giurisdizioni più segrete del mondo.
Eppure molti ricordano che è proprio grazie agli Stati Uniti se il segreto bancario è stato pressoché abolito in gran parte del mondo. Tutti ricordano lo scontro (anche diplomatico) tra Washington e la Svizzera nel 2007, quando gli Usa pretesero i nomi dei cittadini americani che avevano aperto segretamente un conto bancario all’UBS, la più grande banca della Confederazione elvetica. E tutti ricordano il furto dell’intero archivio informatico della HSBC Private Bank che conteneva i conti degli evasori fiscali di mezzo mondo.
Cosa è successo da allora? Dopo aver fiaccato (efficacemente) tutte le resistenze dei paradisi fiscali e delle banche complici del sistema internazionale di evasione fiscale, gli Usa hanno approvato nel 2000 una nuova legge (entrata in vigore nel 2004), la norma sulla conformità fiscale dei conti bancari esteri, meglio nota con il nome FACTA
La legge obbliga le banche straniere e gli intermediari finanziari (gli operatori qualificati) a inviare informazioni sui loro clienti statunitensi all’Internal Revenue Service, il Fisco americano. Le banche che non ottemperano a questo obbligo sono soggette a un’imposta pesante sulle loro transazioni con gli Stati Uniti: una autentica condanna a morte per le banche che volessero resistere.
Gli Stati Uniti hanno poi sottoscritto con gli altri paesi accordi bilaterali per lo scambio di informazioni, ma sempre all’interno delle regole del FACTA, in base al quale però ricevono più dati, rispetto a quanti ne trasmettono.
Nel frattempo però, circa 150 paesi aderenti all’OCSE hanno sottoscritto un accordo multilaterale per lo scambio reciproco delle informazioni finanziarie ai fini fiscali, meglio noto come Common Reporting Standard (CRS), divenuto una sorta di standard globale che identifica tempi e modalità delle informazioni che possono essere utili per far emergere nuovi imponibili fiscali che altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti.
Queste informazioni vengono scambiate in automatico tra i Paesi aderenti.
Ma il paese che ha avviato la guerra all’evasione fiscale internazionale, paradossalmente non aderisce al CRS e non scambia automaticamente informazioni con gli altri Paesi.
Ne è nata una situazione un po’ paradossale. Tutti gli Stati sono obbligati a fornire informazioni agli USA, pena l’uscita delle proprie banche dal mercato americano, ma gli USA no, o perlomeno non nella stessa misura.
I dati che vengono scambiati attraverso gli accordi bilaterali nel quadro del FACTA non hanno l’ampiezza di quelli previsti dal CRS. Manca una completa reciprocità ed è tutta a vantaggio degli USA.
Per un italiano (o un francese o un tedesco) è divenuto molto più facile sottrarsi al radar del Fisco aprendo una società negli Stati Uniti, per esempio in Delaware che nelle isole Cayman.
Nel frattempo, i piccoli paradisi fiscali cominciano a soffrire perché una parte del business legato all’evasione e all’elusione fiscale oppure soltanto alla segretezza, si sta spostando verso gli USA ( nonostante ci siano grandi difficoltà ad aprire rapporti bancari negli USA per i non residenti/ cittadini ).
Un altro buco enorme, nella maglia della lotta all’evasione, è costituito dai Paesi in via di sviluppo che sono esclusi dal CRS perché non dispongono della capacità amministrativa per proteggere la riservatezza delle informazioni dei loro contribuenti, e fra questi spiccano il Montenegro ( che non ha firmato il CRS ) e l’Albania, che pur avendo firmato il CRS non potrà essere operativa per qualche anno.
Ma perché quindi la UE non prende posizione contro gli USA ?
C’è una voce corrente, tra gli operatori del settore, che sostiene che non possano farlo, anche perché gli Stati Uniti avrebbero buon gioco a puntare il dito contro alcuni Paesi della UE stessa che di fatto offrono fiscalità di vantaggio, quasi al livello di paradiso fiscale, come l’Olanda, l’Irlanda, il Lussemburgo, Malta e Cipro.
Questo articolo fornisce informazioni di carattere generale e non sostituisce la consulenza personalizzata. Come DIKE Cosulting ci adoperiamo insieme ai nostri partenrs internazionali a fornire sempre ai nostri Clienti le migliori soluzioni in tema di fiscalità internazionale, ma è chiaro che le norme cambiano e al loro cambiare il Cliente deve essere pronto a variare la propria strategia. Le variabili di ogni singolo caso devono essere analizzate da un consulente specializzato in fiscalità internazionale, per evitare di incorrere in reati tributari e multe salatissime.
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