L’iscrizione all’AIRE non esclude la residenza fiscale italiana
E ‘ questa la conclusione a cui è giunta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13114 pubblicata il 21 marzo scorso.
Come abbiamo avuto modo di ribadire più volte, l’iscrizione all’AIRE non è un elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia di un soggetto quando ci sono indizi, precisi e concordanti, tali da ritenere che questi abbia in Italia la propria dimora abituale o il proprio domicilio, inteso come sede principale dei propri affari ed interessi economici nonché delle proprie relazioni personali.
Purtroppo spesso succede che i contribuenti, invece che rivolgersi al professionista specializzato nel settore, navighino in Internet alla ricerca di una risposta che meglio si adatta alle loro esigenze. Purtroppo Internet è ancora la terra di nessuno e capita spesso di trovare notizie assolutamente false.
Ma torniamo ai fatti.
Tutta la controversia ruota attorno all’ordinanza con cui il Tribunale civile ha confermato un sequestro preventivo ai danni di uno stilista che la Guardia di Finanza ha ritenuto fiscalmente residente in Italia, nonostante la cittadinanza svizzera e la residenza anagrafica a Ginevra, perché dal controllo sono emersi indizi tali da ritenere che il centro principale degli interessi ed il fulcro dell’attività lavorativa fossero proprio in Italia.
Da qui la contestazione del reato di omessa presentazione della dichiarazione e il successivo sequestro pari all’IRPEF evasa.
Avverso tal decisione l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo la violazione dell’art. 4 della Convenzione Italia Svizzera contro le doppie imposizioni secondo cui il paese titolare della pretesa impositiva deve ritenersi quello in cui il soggetto ha la sua residenza anagrafica.
Nel caso di specie, il contribuente aveva prodotto attestazioni rilasciate dall’autorità fiscale cantonale svizzera, su richiesta delle società italiane committenti, in cui si dichiarava che questi era anagraficamente residente a Ginevra e per cui, le provvigioni di fonte italiana, non erano state assoggettate a IVA e a ritenute d’acconto.
Inoltre, a parere dell’imputato, non sussistevano riscontri fattuali tali da confermare la presunzione di domicilio o di residenza in Italia in quanto:
a) il numero degli immobili posseduti in Italia era pari a quelli di cui egli era proprietario in Svizzera, a Parigi e a New York;
b) negli anni oggetto di contestazione, le società di distribuzione dei suoi prodotti avevano sede a Ginevra e a Parigi;
c) i suoi figli non erano residenti in Italia.
In base a tali elementi l’imputato si riteneva residente in Svizzera e qui assoggettato a imposizione esclusiva.
I giudici della Cassazione hanno ritenuto infondate le doglianze svolte dall’imputato e hanno deciso per il rigetto del ricorso, con condanna a carico del ricorrente delle spese processuali.
La decisione – La residenza delle persone fisiche ai fini delle imposte dirette è disciplinata dall’articolo 2 del D.P.R. 917/1986.
In ragione di tale disciplina è ritenuto fiscalmente residente in Italia, alternativamente:
a) il soggetto che per la maggior parte del periodo d’imposta è iscritto all’anagrafe della popolazione residente;
b) il soggetto che, sebbene iscritto all’anagrafe dei residenti all’estero (cd. AIRE) per la maggior parte del periodo d’imposta, ha mantenuto in Italia:
1. il domicilio, inteso come centro principale degli affari e degli interessi, oppure
2. la residenza, intesa come dimora principale.
Quindi per intenderci: la disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche prevede, accanto al criterio formale dell’iscrizione anagrafica, due criteri di natura fattuale costituiti dal domicilio e dalla residenza nel territorio dello Stato.
Ne consegue che l’iscrizione all’AIRE “non è elemento determinante per escluderne la residenza fiscale in Italia allorché si tratti di soggetto che abbia nel territorio dello Stato la sua dimora abituale ovvero il proprio domicilio, inteso come sede principale dei propri affari ed interessi economici, così come delle proprie relazioni personali, dovendo il carattere soggettivo ed elettivo della scelta dell’interessato essere a tal fine contemperato con le esigenze di tutela dell’affidamento dei terzi”.
Non è servito neanche invocare la Convenzione bilaterale tra Italia e Svizzera contro le doppie imposizioni del 1976, perché essa non muta il concetto di residenza sul quale si fonda l’obbligo fiscale avente ad oggetto i redditi prodotti dalla persona fisica o giuridica, avendo la funzione di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali ed evitare casi di duplice prelievo fiscale.
Si aggiunga inoltre che l’art. 4 dell’accordo “prevede espressamente l’ipotesi, in tal modo dando implicitamente conto della possibile inconsistenza del dato anagrafico, in cui lo stesso soggetto possa essere considerato residente da entrambi gli Stati indicando i criteri per la soluzione del conflitto.”
In applicazione di tale principio, l’imputato è stato “attratto” fiscalmente in Italia, sebbene anagraficamente residente in Svizzera, in quanto l’organo procedente ha individuato una serie di indizi tali da confermare la residenza, intesa come dimora stabile, e il domicilio del soggetto in Italia, quali:
1. l’esistenza di uno studio professionale in Italia;
2. la titolarità di numerosi conti correnti intestati direttamente o per il tramite di società ad egli riconducibili;
3. il frequente utilizzo nel territorio italiano di carte di credito;
4. il riscontro con i pedaggi autostradali.
Tali dati fattuali, tra loro convergenti, confermano la residenza fiscale in Italia nonostante l’esistenza della documentazione rilasciata dall’Autorità fiscale cantonale svizzera, attestante la residenza a Ginevra agli effetti della Convenzione Italia-Svizzera. I giudici della Suprema Corte ritengono, anzi, che tali attestazioni sarebbero addirittura prive di rilevanza, “non emergendo da essi l’avvenuto pagamento delle imposte in Svizzera relativamente allo stesso reddito su cui si fonda la contestazione di omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi … configurante il reato di cui all’art. 5 decreto legislativo numero 74/2000, pagamento il quale soltanto avrebbe consentito di ritenere fondata l’eccepita violazione del divieto di doppia imposizione.”
Concludendo, la fiscalità internazionale non è un gioco e non può essere affrontato con pressapochismo, lasciando il tutto nelle mani del caso o affidandosi a chi non ha preparazione nel settore.
La fiscalità internazionale deve essere affrontata anche e sopratutto modificando il proprio stile di vita, per non dare adito a nessun tipo di contestazione da parte delle Autorità Fiscali dei Paesi coinvolti
Questo articolo fornisce informazioni di carattere generale e non sostituisce la consulenza personalizzata. Come DIKE Consulting ci adoperiamo insieme ai nostri partners internazionali a fornire sempre ai nostri Clienti le migliori soluzioni in tema di fiscalità internazionale, ma è chiaro che le norme cambiano e al loro cambiare il Cliente deve essere pronto a variare la propria strategia. Le variabili di ogni singolo caso devono essere analizzate da un consulente specializzato in fiscalità internazionale, per evitare di incorrere in reati tributari e multe salatissime.
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