Prestazioni di servizio rese in Italia da soggetto estero
Ricordo che alla metà degli anni ’80, nello studio, dove feci il biennio di tirocinio professionale, avevamo soltanto un Cliente che in modo sporadico ( circa 2 volte l’anno ) riceveva delle forniture da parte di un’azienda francese. Non vi nascondo che ogni volta registrare quella fattura era visto come un fatto assolutamente straordinario.
Oggi invece , con l’internazionalizzazione dei mercati e soprattutto con l’avvento del web, avere rapporti con l’estero, è diventata prassi comune. Lo sviluppo della UE e l’abbattimento delle frontiere hanno permesso alle aziende ed ai lavoratori autonomi di spostarsi nelle varie nazioni, aprendosi a nuovi mercati..
Quindi è diventato quasi comune per le imprese italiane corrispondere compensi per l’effettuazione di prestazioni di lavoro autonomo nei confronti di soggetti residenti all’estero, eseguite in Italia.
A dispetto di quello che comunemente ed erroneamente si potrebbe pensare, classificando l’evento con la frase “ le imposte se le paga a casa sua..”, tale prestazione di servizio è disciplinata dalle leggi fiscale italiane e da quelle internazionali.
Iniziamo col dire che tale ipotesi è disciplinata dall’articolo 25, comma 1, D.P.R. 600/1973, il quale prevede che: “i soggetti indicati nel primo comma dell’articolo 23 (n.d.r. enti o società soggetti passivi Ires), che corrispondono a soggetti residenti nel territorio dello Stato compensi comunque denominati, anche sotto forma di partecipazione agli utili, per prestazioni di lavoro autonomo, ancorché non esercitate abitualmente ovvero siano rese a terzi o nell’interesse di terzi o per l’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere, devono operare all’atto del pagamento una ritenuta del 20 per cento a titolo di acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti, con l’obbligo di rivalsa”.
Lo stesso articolo 25, comma 2, D.P.R. 600/1973 prevede che se i compensi e le altre somme di cui al comma precedente sono corrisposti a soggetti non residenti, il sostituto d’imposta che eroga gli stessi deve operare una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30%, anche per le prestazioni effettuate nell’esercizio d’imprese.
Sono invece esclusi dalla ritenuta alla fonte i compensi per prestazioni di lavoro autonomo effettuate all’estero e quelli corrisposti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.
Riepilogando:
- una prestazione di lavoro autonomo effettuata in Italia da un soggetto non residente, professionista o impresa, deve essere assoggettata a tassazione sul territorio dello Stato con l’applicazione di una ritenuta a titolo di imposta pari al 30% applicata sulle somme erogate al prestatore del servizio, con esclusione degli importi erogati a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti.
In deroga alle disposizioni nazionali, a livello internazionale è possibile applicare la ritenuta alla fonte prevista dalla convenzione internazionale contro le doppie imposizioni sui redditi che, a determinate condizioni, consente di ridurre o talvolta azzerare il prelievo fiscale.
Prendiamo l’esempio di una ditta individuale comunitaria , ad esempio un elettricista sloveno, che si reca presso la sede o lo stabilimento di un’impresa residente a Milano, ove effettua “prestazioni di ristrutturazione dei locali aziendali”, senza possedere una stabile organizzazione in Italia.
In linea di principio l’articolo 25, comma 2, D.P.R. 600/1973 prevede l’applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30%, anche per le prestazioni effettuate nell’esercizio d’imprese.
Ma, l’articolo 14 della convenzione internazionale contro le doppie imposizioni sui redditi stipulata tra l’Italia e la Slovenia – firmata a Lubiana 11.09.2001 e ratificata con la L. 76 del 29.05.2009, prevede che “i redditi che un residente di uno Stato ritrae dall’esercizio di una libera professione o da altre attività di carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale residente non disponga abitualmente nell’altro Stato di una base fissa per l’esercizio delle sue attività. Se egli dispone di tale base fissa, i redditi sono imponibili nell’altro Stato ma unicamente nella misura in cui sono imputabili a detta base fissa”.
Quindi in questo caso, proprio perché previsto da una norma internazionale, all’elettricista sloveno non potrà essere trattenuta alcuna somma a titolo di credito d’imposta, assolvendo lui al pagamento delle imposte nel suo Paese.
Occorre precisare che, per applicare direttamente il trattamento previsto dalla convenzione internazionale contro le doppie imposizioni sui redditi, il sostituto d’imposta italiano che corrisponde i compensi, prima di effettuare il pagamento, deve farsi dare dall’impresa estera un preciso elenco di documenti :
- dichiarazione rilasciata dal beneficiario effettivo dei redditi, dalla quale deve risultare il luogo di effettuazione della prestazione;
- certificazione rilasciata da parte dell’ufficio delle imposte estero ubicato nel luogo di residenza del prestatore del servizio (società o persona fisica), dalla quale risulti che il percettore delle somme è un soggetto fiscalmente tassato nello Stato estero, ove presenta le relative dichiarazioni dei redditi;
- attestazione relativa all’inesistenza di una stabile organizzazione sul territorio dello Stato italiano.
Questo articolo fornisce informazioni di carattere generale e non sostituisce la consulenza personalizzata. Come DIKE Consulting ci adoperiamo insieme ai nostri partners internazionali a fornire sempre ai nostri Clienti le migliori soluzioni in tema di fiscalità internazionale, ma è chiaro che le norme cambiano e al loro cambiare il Cliente deve essere pronto a variare la propria strategia. Le variabili di ogni singolo caso devono essere analizzate da un consulente specializzato in fiscalità internazionale, per evitare di incorrere in reati tributari e multe salatissime.
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